11Settembre2022
21,15
Auditorium S. Apollonia, Via S. Gallo 25, Firenze
FloReMus – CONCERTO SERALE: L’Homme Armé/Salva nos…
Liturgia immaginaria di fine secolo tra Firenze e Milano
Musiche di H.Isaac e G.Weerbeke
L’Homme Armé
Elena Bertuzzi, Marta Fumagalli, Matteo Pigato, cantus
Massimo Altieri, Paolo Borgonovo, altus
Paolo Fanciullacci, Riccardo Pisani, tenor
Davide Benetti, Gabriele Lombardi, bassus
Direttore Fabio Lombardo
Biglietti interi € 15
Due persone prenotate insieme € 25
Ridotto € 8 (studenti di scuole di musica e conservatori, giovani fino a 30 anni, adulti sopra i 65 anni)
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Programma
Heinrich Isaac Quis dabit pacem populo timenti
(ca 1450-1517)
Gaspar van Weerbeke Ave mundi Domina (loco introiti)
(ca 1445- post 1517)
H.Isaac Missa “salva nos”
Kyrie
Gloria
G.Weerbeke Salve virgo virginum (loco credo)
Anima mea liquefacta est (loco offertori)
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G.Weerbeke Adonay sanctissime Domine Deus
H.Isaac Sanctus
Agnus Dei
G.Weerbeke Quem terra pontus (ad elevationem)
Fit porta christi pervia (Deo gratias)
H.Isaac Quis dabit capiti meo aquam?
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Che il mecenatismo artistico sia stato uno dei tratti distintivi del Rinascimento italiano (e non solo) è cosa arcinota. Un po’ meno noto è lo specifico mecenatismo musicale che molti signori italiani dell’epoca sostenevano con notevole dispendio di energie economiche, intellettuali e politiche. Mecenatismo musicale che aveva il suo focus istituzionale nelle cappelle religiose ma che si sviluppava con altrettanta o anche maggiore energia anche nelle cappelle di corte. Quelle più importanti erano a Roma, la cappella papale, a Napoli, Ferrara, e successivamente quella di Milano e quella di Firenze.
Le ambizioni dei signori del Rinascimento erano talvolta smodate. Galeazzo Maria Sforza (1444-1476), quinto Duca di Milano, ambiva a diventare re dei territori lombardi e una delle strategie per cercare di raggiungere l’obiettivo fu di presentare la sua corte con attributi regali. Per volere dei genitori aveva ricevuto un’educazione umanistica, e sin dalla gioventù aveva coltivato la pratica della musica polifonica e appena asceso al potere, 1466, decise di creare una cappella musicale che potesse competere con le più importanti d’Europa. Si attivò presso le principali corti europee per reclutare i migliori musicisti del momento, offrendo loro, su autorizzazione papale, compensi elevatissimi e numerose e redditizie prebende ecclesiastiche. Fu così che la sua cappella arrivò a contare fino a 30 musicisti scelti, tra i quali Loyset Compere, Alexander Agricola, Josquin Despres e Gaspar Weerbeke, il clericus tornacensis.
Anche Lorenzo de’ Medici, il Magnifico, aveva grandi ambizioni nel campo della musica e con decisione e misura diede un notevole sviluppo ai progetti musicali del nonno Cosimo, che già dagli anni ’30 aveva cercato di creare una buona cappella musicale, tentando, invano, di chiamare Dufay quale maestro di cappella. Lorenzo ebbe più fortuna con i musicisti del nord Europa, primo fra tutti Heinrich Isaac, detto Arrigo di Fiandra, musicista che si rivelò uno dei migliori compositori europei a cavallo tra ‘400 e ‘500.
Isaac è stato il musicista più benvoluto e considerato da Lorenzo de’ Medici, e similmente Weerbeke è stato il musicista di fiducia di Galeazzo Maria Sforza. I due musicisti, quasi coetanei, hanno passato gran parte della loro vita in Italia: il primo può essere considerato fiorentino di adozione; Weerbeke, oscillando più volte tra Milano e Roma, ha sviluppato gran parte dei suoi interessi musicali ed economici in Italia. (Dopo la morte di Galeazzo Maria parte della corte sperava di potersi sbarazzare di questi costosissimi musici stranieri. Dopo la morte di Lorenzo, l’avvento di Savonarola portò al bando della musica polifonica e all’estinzione della cappella).
Il programma intreccia musiche liturgiche di questi due autori in vario modo legate a Firenze e Milano. L’intreccio segue la traccia di una immaginaria liturgia in cui le parti dell’ordinario sono in parte tratte dalla missa di Isaac e in parte da alcuni mottetti tratti da uno dei due motetti missales di Weerbeke contenuti nei Libroni del Duomo di Milano, che, nella prassi della cappella di corte, potevano sostituire alcune parti della messa per le festività mariane (da cui la dicitura “loco introiti”, “in loco credo” ecc). Questi mottetti sono basati su testi mariani, e il culto mariano era significativo anche nella Milano dei Visconti/Sforza (il nome Maria, presente come secondo nome per i maschi della famiglia Visconti/Sforza, era legato ad un voto fatto alla Madonna dal trisnonno di Galeazzo Maria, Galeazzo II Visconti, in seguito alla nascita del primo figlio: ogni suo discendente avrebbe portato questo nome). Questi testi, di probabile provenienza franco-fiamminga, sono caratterizzati da una forma metrica tipica degli inni o delle sequenze, e Weerbeke ha assecondato musicalmente la struttura metrica facendo uso frequente del ritmo trocaico. L’unico testo non in forma metrica è Anima mea liquefacta est, tratto dal Cantico dei cantici.
La Missa “Salva nos” è costruita, com’era prassi frequente all’epoca, su una melodia preesistente, l’antifona gregoriana Salva nos Christe, appartenente ai vespri per la festa della Santa Croce. In tutta la messa il motivo di quest’antifona risuona numerosissime volte, ma è il segmento finale che unifica e caratterizza tutte le sezioni terminali dei vari movimenti. Motivo che ritroviamo sviluppato nel brano finale del programma, Quis dabit capiti meo aquam, dove viene ripetuto insistentemente nella voce bassa con le parole “et requiescamus in pace” mentre altre due voci, con figurazioni melismatiche veloci, cantano “Laurus impetu fulminis illa, illa iacet subito” (Quel lauro, sì quello, giace colpito da un improvviso furor del fulmine: il lauro era il simbolo di Lorenzo).
E in effetti il carattere puramente immaginario di questa liturgia (liturgia che rimane sempre una forma di rito pubblico) è suggellato proprio dai brani che aprono e chiudono il programma, decisamente extra-liturgici, i due lamenti su testo di Poliziano che Isaac mise in musica dopo la morte di Lorenzo il Magnifico, il signore, il mecenate, l’artefice di quella relativa stabilità politica che la penisola aveva acquisito anche grazie alle sue capacità politiche e umane. In Quis dabit pacem populo timenti sembra che Isaac abbia voluto enfatizzarne la solennità sia nella scelta del tono sia nell’uso delle figure musicali che mettono meglio in luce la varietà delle figure retoriche del testo.
(Del Rinascimento ricordiamo in genere le stupefacenti meraviglie … ma era anche un’epoca di grandissime atrocità. Tutti i testi del programma, rivolti per lo più a Cristo o alla Madonna, in vario modo invocano protezione, pace, e … dopo più di cinquecento anni a che punto siamo?)
Fabio Lombardo